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LA DIDATTICA PER I DISLESSICI SECONDO LE LINEE GUIDA DEL MIUR (3)

Ritorno ancora a parlare di Linee Guida pubblicate dal MIUR riguardanti gli alunni con Disturbo Specifico di Apprendimento. Purtroppo mi sto rendendo conto, nella mia pratica quotidiana come logopedista che lavora in un ente pubblico e che si occupa di valutazione, che spesso il mondo della scuola, dopo la legge 170, ha eretto un muro ancora più alto per difendersi. Ma da cosa? Dalla paura del diverso, dall'ignoranza? Stanno accadendo le cose più strane e assurde: la richiesta continua da parte delle scuole (medie e superiori) di diagnosi aggiornate (anche prima dei 3 anni previsti dalla legge), come se il disturbo dovesse scomparire magicamente o variare in tempi brevi. La richiesta di "sapere cosa fare" fatta ai genitori i quali, poverini, non sanno cosa rispondere. Senza scordare gli atteggiamenti di negazione del problema attraverso i quali gli insegnanti vanno avanti per la loro strada oppure si "rassegnano" ad avere un dislessico in classe, così come successo nella mia città, con gravi conseguenze per il benessere psicologico dei ragazzi. E' questo quello che volevamo dalla legge 170? C'è ancora tanto da fare.... Per questo continuo nella mia azione di evidenziare le parti più significative delle Linee Guida.

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LA DISLESSIA COME DIFFERENZA

Sto leggendo il libro Dislessia nei giovani adulti. Strumenti compensativi e strategie per il successo, pubblicato pochi mesi fa dalla Erickson. Il libro comprende una serie di contributi sul tema della dislessia in età adulta, tratti dal Convegno AID 2010 a Reggio Emilia. Essendo il primo libro italiano a trattare tale argomento ritengo che sia un punto di riferimento utile per tutti i professionisti che si occupano di dislessia (fatta eccezione per i docenti), basandosi soprattuto sulla clinica. Fra i tanti articoli c'è però una vera chicca, quello intitolato: Neurodiversità e dislessia: strategie di compensazione o approcci diversi? di Ross Cooper, dislessico, professore universitario, che sottolinea il proprio "orgoglio dislessico", ponendo il tema della neurodiversità e della dislessia non più come deficit, ma come differenza.

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