Negli Stati Uniti è allarme: sale il numero di sostanze chimiche che potrebbero provocare alterazioni nello sviluppo cerebrale fetale e infantile. Negli ultimi sette anni è raddoppiato e continua ad aumentare l’elenco di potenzialmente in grado di danneggiare il cervello.
Piombo, metilmercurio, arsenico, policlorobifenili (PCB) e toluene, queste le sostanze dichiarate nel 2006. Ora si hanno prove che la stessa azione è esercitata da altri sei prodotti chimici – manganese, i fluoruri, i pesticidi chlorpyrifos e DDT, il solvente tetracloroetilene, e i ritardanti di fiamma a base di polibromodifenileteri (PBDE) – con effetti che potrebbero andare dal disturbo da deficit di attenzione (ADHD) alla dislessia fino a patologie anora più gravi.
Infatti, anche se la placenta è in grado di filtrare attivamente molte sostanze, non riesce a bloccare il passaggio dalla circolazione materna a quella fetale di molti composti tossici ambientali.
E poiché molte di queste sostanze si trovano in oggetti di uso quotidiano come abbigliamento, mobili e giocattoli, è necessario provvedere urgentemente a una revisione dei regolamenti nazionali e internazionali per la valutazione del rischio.
Philippe Grandjean e Philip J. Landrigan – rispettivamente della Harvard School of Public Health e delle Icahn School of Medicine at Mount Sinai – fanno il punto sul problema e lanciano l’allarme, chiedendo una strategia di prevenzione internazionale che attribuisca ai produttori l’onere di dimostrare che i loro prodotti sono a basso rischio con test simili a quelli adottati per i farmaci.