Philip Schultz, poeta, vincitore del premio Pulitzer nel 2008, da bambino non sapeva leggere. Era un pessimo studente, non sempre capiva cosa gli dicessero i suoi insegnanti e, quando parlava, aveva difficoltà a scegliere le parole giuste e a pronunciarle correttamente; non sapeva neanche leggere l’ora o distinguere la destra dalla sinistra.
Molti anni dopo Schultz scoprì che tutto questo aveva un nome: infatti fu solo quando a suo figlio fu diagnosticata la dislessia che apprese di soffrire dello stesso disturbo.
A quel tempo era già uno scrittore di successo ed erano lontani i giorni in cui, espulso dalla scuola per aver picchiato chi lo chiamava stupido, era stato relegato nella «classe dei cretini» dove i professori gli dicevano di «starsene buono a guardare le figure, facendo finta di leggere».
A undici anni, quando un insegnante gli chiese cosa volesse fare nella vita, rispose d’istinto che sarebbe voluto diventare uno scrittore.
Non ci aveva mai pensato prima, ma quel pensiero divenne per lui un’ossessione.
Da quel momento Schultz utilizzò tutte le sue forze per imparare a leggere e scrivere, capendo che se voleva riuscire avrebbe dovuto farcela da solo.
E così fece: quando iniziò le superiori, era in grado di leggere e scrivere abbastanza da poter seguire i corsi.
Ancora non sapeva che il suo cervello processava informazioni e parole in un modo diverso rispetto agli altri, ma scoprì che seguendo la straordinaria abilità creativa della sua mente riusciva a scrivere brevi racconti e poesie che suscitavano interesse e ammirazione.
Leggere l’autobiografia della sua vicenda di dislessico è “rivelatrice” e “divertente”.
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