capaci di semplificare. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura? Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode…. La semplificazione è il segno dell’intelligenza, un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte. L’idea di una scuola semplice è l’idea di una scuola che, ad esempio, usa il gioco. Qui mi viene da citare il caso di un consiglio di classe dove alcuni anni fa un’insegnante, per dire di un ragazzo che secondo Lei era immaturo, se ne usci con questa affermazione: – Pensate, gioca tutto il giorno! Allora io che vengo da una scuola che dice che per imparare bisogna giocare, dentro di me pensavo: “ma allora se gioca, apprende moltissimo”. Invece l’idea era che la scuola deve essere un qualcosa di complicato, di difficile, mentre al contrario giocare è l’alternativa. Io credo che una scuola semplice sia la scuola del gioco, sia la scuola del piacere e del divertimento. Stamattina si parlava della risata, dell’importanza della risata a scuola; oggi nelle nostre scuole si ride troppo poco e invece è estremamente terapeutica la risata. Come terapeutico è l’uso del giocattolo semplice: cioè, voglio dire che spesso i nostri ragazzi giocano con strumenti complicatissimi, come può essere un computer o come può essere un telefonino, e non sanno usare i giochi più banali. Vi garantisco che se prendiamo cento ragazzi di una nostra scuola e li mettiamo di fronte all’arco e alle frecce, la quasi totalità non sa nemmeno come ci si posiziona. Non vi dico poi tirare. Ne parlo a ragion veduta visto che questa esperienza l’ho fatta anche recentemente. Ma penso anche alle biglie, alle trottole, alla fionda. La sobrietà. La quinta parola chiave è sobrietà. Una scuola creativa è una scuola che sa fare molto con poco, cioè una scuola che non necessariamente ha bisogno di grandi finanziamenti. Io sono stato a fare il Direttore Didattico in Trentino, dove c’è l’autonomia della Provincia, dove di soldi ce ne sono a palate. Vi garantisco che le nostre scuole povere sono molto più creative delle scuole che spesso usufruiscono di enormi. Allora, averne pochi è sicuramente negativo, ma averne anche troppi può essere altrettanto negativo. Credo che dovremmo andare a capire, là dove ci sono certe esperienze, cosa ci dà il poco. Io penso all’esperienza di “RE Mida”, a Reggio Emilia, dove il Comune con Reggio Children ha organizzato il riciclo tutto quello che è avanzo di produzione industriale e artigianale e lo mette a disposizione delle scuole. E con quei materiali ci fanno sopra i laboratori creativi… ecco che ritorniamo alla creatività di Rodari. Tra l’altro la Grammatica della fantasia nasce da un corso fatto a Reggio Emilia, ed io credo che buona parte dell’esperienza delle scuole di Reggio è stata sicuramente contaminata da questi corsi di formazione condotti da Gianni Rodari. Penso all’esperienza (io ho cercato anche nelle mie scuole di introdurla il più possibile!) dei laboratori manuali. Attrezzare un laboratorio di ceramica, un laboratorio di falegnameria costa quanto un computer. Pensate alle nostre scuole, di computer ne abbiamo tanti, e di soldi ne buttiamo via. Eppure le nostre scuole sono poverissime di questi laboratori. Forse anche perché non siamo abituati ad usarli: perché è difficile comunque usare le mani. Ho fatto l’anno scorso, d’estate, l’esperienza di insegnare a dei bambini di scuola elementare e di scuola media, ad usare il coltellino. Abbiamo usato coltellini affilati; è una cosa difficilissima da insegnare, o meglio, i bambini la apprendono subito, però la maggior parte non l’ha mai fatta come esperienza, cioè non hanno mai, nell’arco della loro infanzia, usato un coltellino. Questa è una cosa che mi fa pensare, perché i nostri ragazzi stanno perdendo la manualità. Trenta coltellini ad una scuola costano 300 euro, coltellini buoni, che tagliano bene; e guardate che se tagliano bene i bambini si tagliano di meno, è più facile tagliarsi con un coltellino non affilato che con un coltellino affilato. Quindi, vi dicevo prima, sobrietà vuol dire anche povertà, gratuità, inutilità: fare cose che apparentemente non sono, dal punto di vista economico, valorizzate perché gratuite. Il locale. Ultima parola chiave: una scuola creativa è, a mio parere, una scuola locale. Locale vuol dire una scuola che punta molto a far capire, a far scoprire ai ragazzi il luogo in cui vivono. Ieri l’altro una mamma mi raccontava della propria figlia, che frequenta una delle scuole elementari di Cesenatico. “È tornata entusiasta da una gita che aveva come tragitto Cesenatico-Cervia – riferiva la mamma – e sono tornati a casa stanchissimi, ma ricchissimi. Hanno perso il treno e per questo si sono dovuti riorganizzare da soli”. Questa per me è una cosa stupenda andare da Cesenatico a Cervia. La prossima settimana andrò con una classe in Francia. Voglio farvi riflettere un attimo sul fatto che i nostri ragazzi girano l’Europa, poi però non conoscono il proprio territorio, i propri luoghi. Nelle mie scuole ci sono delle classi da noi (ha iniziato San Mauro l’anno scorso e quest’anno lo sta facendo Svignano) che in bicicletta percorrono la centuriazione romana, cosa che molti di Savignano e di San Mauro non conoscono. Quanto è importante conoscere la propria bioregione, cioè il luogo in cui si vive! Credo che questo poi dia il senso dell’importanza del vero rispetto al virtuale. Spesso i nostri ragazzi fanno viaggi virtuali, pensate a tutta la scoperta anche della geografia attraverso i Cd (Compact Disc) e non attraverso la conoscenza diretta.
Intervento di Gianfranco Zavalloni in occasione del Convegno GIANNI RODARI E LA SCUOLA DELLA FANTASIA tenutosi a Cesena il 6 e 7 maggio 2005 in occasione dei 25 anni dalla morte dello scrittore. La politica e la creatività. Io credo che una scuola possa essere creativa prima di tutto se la società in generale si pone nell’atteggiamento creativo. Siccome vicino ho il mio amico Gualdi Daniele,che è assessore, gli suggerisco una cosa che ho ascoltato questi giorni. Pochi giorni fa ero in un paese del Caribe, in Repubblica Dominicana, e siamo stati invitati a pranzo da un Sottosegretario del Ministero della cultura: il Sottosegretario alla Creatività popolare. Ecco io credo che sarebbe interessante se nei nostri comuni cominciassero ad esserci gli Assessori alla Fantasia, alla Creatività. Credo sia importante cominciare anche a capire che questo non è solo un degli aspetti marginali, ma può divenire uno degli aspetti sostanziali del governo del territorio.
L’altro giorno mi ha telefonato sempre un altro assessore di un comune del pesarese, di Sant’Agata Feltria. Gli ho chiesto quali erano le sue competenze e le sue deleghe. Sapete che mi ha risposto: – Mah, sono un tipo molto strano, allora mi hanno messo nei Progetti Speciali. Lui segue i progetti speciali del Sindaco… in sostanza, una cosa simile all’esperienza centroamericana. A quel punto sarebbe bello che facesse l’Assessore alla Creatività, alla Fantasia. Lo dico perché a mio parere è interessante introdurre anche questi elementi di riflessione nell’ambito politico. Poi devo aggiungere che non ho studiato pedagogia in termini classici. Come il mio amico Daniele ho studiato Economia e Commercio e quindi non ho certi substrati, certe basi. Per questo quello che racconto in genere lo racconto perché in qualche modo l’ho vissuto io, quindi viene dalla mia esperienza didattica. Il piccolo. Io credo che una scuola creativa sia possibile a patto che si dia spazio, e qui uso sei parole chiave e cerco di illustrarle in maniera sinteticissima, un po’ come ha fatto la mia collega Simonetta (che è stata anche una collega molto brava perché quando io sono stato un suo maestro sicuramente ha dato spazio a quella che sia lei che io riteniamo importante, cioè “una scuola creativa”) al piccolo . Ecco prima parola chiave: il piccolo. Io credo che anche a livello di politica scolastica dobbiamo tornare a valorizzare tutto quello che è piccolo: le piccole scuole, le piccole sezioni. Non dobbiamo vendere le scuole che sono state chiuse negli anni passati, semmai cominciare a riaprirle e spezzare i grandi numeri, quelle che sono attualmente “le grandi scuole”. Io in questo momento faccio il preside in tre grossi istituti, tre scuole medie, e vi garantisco che più le scuole diventano grandi più diventano ingestibili, perché sono difficili le relazioni interpersonali. Quindi è proprio una questione di numero. Credo che dovremmo ripartire da queste cose, io ultimamente le ho anche esemplificate in un libro che con l’amico Roberto Papetti abbiamo titolato Piccoli gesti di ecologia. Noi tutti, tutti i giorni, in tutte le realtà possiamo fare tante piccole cose che diventano grandi nel momento in cui sono condivise. Allora penso all’idea, che ultimamente lancio molto, di usare ad esempio, nella scuola, piccoli quaderni e non quadernoni. In sintesi si tratta di cercare di ridurre il dimensionamento di tutto quello che è scuola. Penso all’idea che in una scuola ci stia benissimo un giardino ben curato, anche se piccolo. Due anni fa facemmo questa esperienza, in un corso di formazione: fare dei piccoli giardini zen. L’idea del piccolo ci riporta ad Ernst Fritz Schumacher, e al suo ‘Piccolo è bello’. Il lento. Poi la seconda parola chiave che io userei. Una scuola creativa è possibile a patto che sia lenta. Credo che il problema dei tempi, sia un problema fondamentale. Dobbiamo imparare a rallentare a scuola, io la chiamo la “pedagogia della lumaca”. Si tratta di passare dalla quantità alla qualità, cioè ridurre la quantità di cose che si fanno e per ridurla bisogna andare più lenti, perché poi andando più lenti i bambini ricordano meglio. Sempre in questa esperienza di formazione che facemmo alcuni anni fa io portai in maniera provocatoria, l’ho fatto anche ad altri convegni, la cannetta, il pennino e il calamaio. Erano adulti. Mi è rimasto impresso il pensiero di uno psicologo, che all’inizio era molto perplesso su questa cosa, la viveva come una provocazione, e alla fine dei cinque giorni ne è uscito con questa considerazione: – Ho capito che andando più lentamente ricordo meglio le cose che faccio, che studio e che apprendo. Quindi è necessario rallentare, fare di meno e farlo meglio, “lavorare sul metodo” e non sul nozionismo, sui contenuti. Facendo il preside mi sono trovato ultimamente, ad esempio, ad andare a fare gli esami di stato e mi accorgo che ci sono delle bellissime ricerche, anche consistenti, fatte dai ragazzi che navigano su internet. Io lo chiamo il metodo del copia e incolla, dove non c’è la benche’ minima elaborazione personale. Preferisco una pagina di proprio pugno, di propria mano, che trenta pagine con le belle immagini scaricate da internet. Allora credo che questo sia proprio un discorso di qualità, cioè la qualità di fare poco, ma di farlo in prima persona, in maniera originale. Penso all’idea importantissima di disegnare le cose anziché fotocopiarle, cioè disegnarle direttamente. Per un bambino, che disegna il corpo umano con tutte le strutture, sicuramente la memoria su quel disegno e sullo schema del corpo umano resta molto più impressa di un disegno semplicemente colorato e riempito di colori. Quindi – dicevo – la lentezza, l’andar piano, il far meno come seconda parola chiave. Il bello. Terza parola chiave è il concetto del bello, cioè dell’importanza di avere dei luoghi, delle esperienze di contatto con il bello. In questo convegno, tra i gruppi di lavoro, c’è n’è anche uno condotto da Claudio Cavalli, che lavora sull’arte. Ma penso anche al grande sforzo che dovremmo fare riguardo all’ambiente della scuola. Me ne rendo conto, io che faccio il preside quando ragioniamo sul mobilio scolastico, sui banchi, sulle sedie. Il primo criterio è comunque quello del risparmio e generalmente non si ragiona su un criterio a lunga durata; oggi noi guardiamo, a volte con grande malinconia, i banchi degli anni ’30, degli anni ’40, degli anni ’50, banchi di legno, e diciamo che sono belli. Purtroppo noi abbiamo – oggi – banchi ricoperti di formica o di ferro, molto spesso brutti e scomodi. Ecco un argomento significativo quando si parla dell’importanza del bello nella scuola. Io aggiungerei: non sempre il bello vuol dire costoso. Penso all’esperienza, a mio parere di grande insegnamento, che sta vivendo Carlo Cola con l’E.N.A.I.P. di Cesena, quando con ragazzi svantaggiati fa quelle bellissime lampade di legno riciclato, colorate dai ragazzi (http://www.casine.it). Chi è di Cesena ha visto sicuramente questa esperienza in occasione della mostra che si fa ogni anno; è un esempio di bellezza usando materiali semplici. Penso all’importanza di creare dei giardini e degli spazi esterni della scuola che siano accoglienti per i ragazzi. Spesso mi capita di portare l’esempio di questa scuola di Porto San Giorgio dove il cortile della scuola elementare e della Direzione Didattica è stato impostato come un luogo di accoglienza per turisti, dove c’è un chiosco del gelato durante l’estate e durante la sera o le domeniche. E di giorno, durante la settimana, i bambini ci vanno a scuola. È un posto meraviglioso, in pieno centro, gestito in maniera polifunzionale, Un esempio concreto per dire che non sempre il privato interviene in maniera negativa nella scuola. Questo è un posto bello, dove i bambini vivono bene, durante il periodo scolastico, perché è accogliente, bello esteticamente, e poi è un luogo turisticamente interessante perché è nel passeggio lungo il mare. Penso a queste bellissime case che ci sono a Vienna del pittore-architetto-ecologista Hundertwasser, che ha costruito tutte queste case con le finestre che hanno le barbe, che ha costruito queste case dove la linea retta, che lui considerava atea, non esiste. È tutto in una dimensione che, come tu c’entri dentro, capisci cosa vuol dire quella scienza, il feng shui, che usano i giapponesi per significare l’armonia con l’ambiente, per dimostrare che bisogna essere in armonia con l’ambiente. Quindi, per sintetizzare il terzo elemento, dichiamo: la bellezza. Il semplice. La quarta parola chiave è: semplice. Una scuola creativa deve essere una scuola il più possibile semplice. Qui è un discorso complicato, proprio in antitesi. Bruno Munari dice, quando parla di semplificare, che: “Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme,azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono