La dislessia in età adulta non scompare, può essere compensata, ma ha ancora un peso importante nella vita di un dislessico. Quello che personalmente ho potuto verificare è l’importanza della diagnosi anche in età adulta per strutturare una nuova immagine di sé. Questo significa che le molte persone che mi scrivono per capire perché hanno avuto difficoltà a scuola o hanno difficoltà anche sul lavoro o, ancora, per problematiche secondarie all’antico disturbo (bassa autostima, depressione, ansia di prestazione), hanno la necessità di comprendere il perché e di recuperare un’immagine di sé positiva. Naturalmente a livello della società ci sarà da combattere nei confronti dello “stigma”, cioè del venire considerati diversi e, spesso, inferiori.
Sapere e integrarlo nell’immagine di se che uno ha, permette anche di rinegoziare il rapporto con il mondo. Questo introduce il concetto di empowerment, di arricchimento della persona e della capacità di gestire consapevolmente il mondo che la circonda. Probabilmente uno degli obiettivi più importanti che si dovranno porre i ricercatori, nel rapporto con persone che hanno queste problematiche di disturbi specifici dell’apprendimento, è quello di far acquisire la consapevolezza che comunque, nonostante il problema che hanno, loro possono essere padroni della propria vita e percepire di esserlo. Questo per il successo e la felicità è un punto fondamentale e forse i tecnici che fanno la diagnosi dovrebbero porsi non solo l’obiettivo di fare una diagnosi corretta. Ma la consapevolezza a sua volta pone un altro problema, quello dello svelamento, dell’utilizzare questa consapevolezza anche per far sapere agli altri del proprio disturbo. E questo è uno dei problemi: la maggioranza dei dislessici continua a non avere la voglia di far sapere agli altri dell’esistenza di questo problema. Le cose, tuttavia, stanno cambiando nel corso del tempo e dipendono sempre da persona a persona: io non faccio sapere ad un altro una cosa che mi riguarda se penso che l’altro questa cosa la giudicherà male. A questo punto diventa un problema della società quello di avere un concetto della parola dislessia che non sia un clichè pregiudiziale, basato su conoscenze datate.
Questo spiega il dottore Enrico Ghidoni su Anemos, il neurologo che è a capo del Centro di Diagnosi della Dislessia negli adulti presso l’Arcispedale di Reggio Emilia. E ancora
Alcuni lavori mostrano che i dislessici adulti non hanno più problemi psichici rispetto alle persone non dislessiche. Certamente c’è una dinamica tra l’accettazione e la negazione che percorre tutto il ciclo di vita delle persone con dislessia. All’interno di questa dinamica è fondamentale l’impatto della diagnosi, che molto spesso rappresenta un punto di svolta che può cambiare il modo di interpretare la propria vita in senso positivo, nel momento in cui dà la consapevolezza della propria condizione, e in senso negativo se questa consapevolezza viene ad essere condizionata dall’accezione sociale retrograda del termine Dsa. Come si può eliminare lo stigma della dislessia? Possiamo considerare naturale questo stigma, intendendo come naturale il fatto che in una società c’è sempre chi ha qualche caratteristica diversa e che per questo viene etichettato in senso negativo? Sul tema dello stigma hanno importanza fattori di carattere personale, relazionale e culturale. L’obiettivo dello specialista dovrebbe essere, perciò, aiutare a decostruire lo stigma. In qualche modo i diversi livelli di descrizione del fenomeno (disturbo, disabilità, caratteristica) sono dei passi importanti verso questa direzione. Il mondo dei dislessici adulti è una realtà in evoluzione. I nuovi dislessici sono dislessici diversi, consapevoli dei propri diritti, che rivendicano sia la necessità di avere un aiuto sia la propria differenza come un valore positivo. La vita adulta è dura per i dislessici, ma lo è meno della scuola. Il fatto che gli anni a scuola siano stati così duri per i dislessici può rappresentare una specie di allenamento per la vita adulta. Le dolorose esperienze del periodo scolastico possono essere reinterpretate a posteriori e trasformate in un allenamento per affrontare la vita più corazzati.
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9 Comments
Maria Grazia
Io penso che finchè si parlerà di dislessia e dei dislessici solo con i termini ” problemi” “disabilità” “difficoltà” ecc ecc l’immagine che si darà sarà sempre negativa! Io troverei anche dei termini alternativi
Benedetto Pisano
Io sono dislessico. Mi è stata diagnosticata quando stavo ripetendo, per la seconda volta, l’esame di maturità classica. Sono laureato in Medicina veterinaria.
Non ho mai avuto tutti questi problemi di autostima, anzi, il fatto di essere dislessico, disortografico e discalculico, per me, è un vanto! A quelli che non hanno il mio problema dico: “il fatto che voi riusciate ad ottenere certi obbiettivi è normale, lo straordinario è che li abbia raggiunti io! Dislessico 47enne, senza aver mai avuto nessun sostegno durante gli studi, se non quello della mia volontà e della mia autostima. Non so leggere fluidamente, faccio errori di ortografia, non so le tabelline, non mi ricordo l’ordine dei mesi, ma capisco tutto e sono più intelligente di molti che oltre a leggere, sanno le tabelline, non fanno errori ortografici e conoscono i mesi a memoria, non sanno altro!
rossella grenci
Grazie Benedetto per la tua testimonianza!!! 🙂
ALfonso MAsciocchi
Un vero spartiacque direi la soluzione di tanti rebus mai risolti, le risposte mai avute… io sono stato felice e poi ho capito la mia rabbia…. e adesso la uso per difendere i piccoli
rossella grenci
Grazie anche a te Alfonso per la tua testimonianza. Ma è vero che avete scritto un libro con le testimonianze di chi è stato diagnosticato da adulto?
Amalia
Come si fa ad essere diagnosticati da adulti? A chi bisogna rivolgersi? Grazie
rossella grenci
In centri specializzati sulla dislessia… In Italia quello più accreditato è presso l’Arcispedale di Reggio Emilia.
Sandra
Sono la mamma di una ragazza di 26 anni con dsa riconosciuto solo in 4superiore vorrei delle informazioni riguardo la scuola oss che lei sta frequentando lei ha fatto il primo tirocinio in una RSA e dai supervisori sono emerse anche difficoltà di manualità e coordinamento chiedo se possibile avere informazioni come affrontare il probema grazie Sandra Pesci
rossella grenci
Le cose che mi dice non sono comprensibili. Comunque se ha la diagnosi l’Università si deve attivare per venire incontro alle esigenze di sua figlia!