AVEVA DIFFICOLTÀ A SCRIVERE, PARLARE E CONTARE. A SCUOLA LA SGRIDAVANO, MA LA MAMMA ALLA FINE HA TROVATO LA CAUSA DEL DISAGIO: QUEL DISTURBO DELL’APPRENDIMENTO.
Vorrei far comprendere le sofferenze, la fatica, il disagio di un genitore che non si sente capito nella sua battaglia per aiutare il figlio negli studi, perché le enormi difficoltà che presenta non vengono riconosciute, ma addirittura fraintese», racconta la mamma di Carlotta, la signora Luisanna Ganglio. Che aggiunge: «Occorre parlare di dislessia perché le storie simili a quella della mia bambina diventino sempre più rare».
Già in prima elementare Carlotta manifesta i sintomi della dislessia: non riesce a leggere correttamente le sillabe, ad esempio “ma” è pronunciato “ca”, o “pa”. Salta le righe nella lettura, s’inven-ta parole nuove, cambia nello stesso foglio il tipo di scrittura e la sua soglia di attenzione è molto bassa. Gli insegnanti, non conoscendo il disturbo, la rimproverano spesso, esprimendo giudizi negativi sulla sua condotta.
«A quel punto io stessa sono diventata complice di questo atteggiamento», spiega la madre, «ed è la cosa che più mi fa soffrire ancora oggi. A casa l’ammonivo in continuazione, obbligandola a rifare i compiti, a ripetere le lezioni quanto più tornava con i quaderni pieni di errori. In questo modo siamo arrivati alla prima media, impiegando l’intera giornata in turni massacranti di studio, perfino durante le vacanze estive».
La signora Ganglio, però, comincia ad avere dei dubbi: le sedute presso il centro di neuropsichiatria infantile cui si è rivolta e le valutazioni logopediche che ne sono seguite non hanno portato a significativi miglioramenti. Navigando su Internet scopre l’esistenza dell’Associazione Italiana Dislessia, e in pochi giorni Carlotta viene visitata da uno dei suoi specialisti. Senza mostrare nessuna documentazione, il medico fa subito !a diagnosi di “disturbo specifico di apprendimento”, oltre che di discalculia (difficoltà nel calcolo), disortografia (errori nella scrittura) e disgrafia (scrittura poco decifrabile). «Non potrò mai dimenticare quella data, l’11 febbraio 2006», ricorda la signora Ganglio. «Allora non ero io che ingigantivo il problema, la mia bambina non era troppo viziata o buona a nulla. Era come aver vinto una battaglia: mia figlia soffriva semplicemente di un disturbo, la dislessia».
Oggi Carlotta sta meglio, è molto creativa, le piace il teatro, ma porta i segni della diagnosi tardiva. È emotiva, conta ancora con le mani, presenta tic nervosi ed è anche seguita da uno psichiatra perché, nel tempo, la sua diversità le è costata in termini di autostima e sicurezza in sé stessa.
«La nostra esperienza testimonia la scarsa preparazione della scuola e della sanità sull’argomento», conclude Luisanna Ganglio. «Dopo la diagnosi, sono stati messi a disposizione di Carlotta alcuni degli strumenti compensativi indicati dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in una circolare del 2004 sulle iniziative relative alla dislessia, e gii insegnanti sono diventati più disponibili. Ma, in generale, c’è ancora molto da fare. Dovrebbero esserci percorsi assistenziali mirati per una valutazione tempestiva del problema e un’assistenza adeguata dopo».
Nel suo manoscritto, La storia di Carlotta, delle Edizioni Bio grafiche di Milano (www.edizionibiografiche.it), ci sono molte prove scolastiche della bambina che aiutano a capire la natura del problema: «Nella speranza che nessun genitore debba più affrontare nemmeno una delle mie battaglie».
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