Nuova teoria Usa: superata l’idea che abbiano un cervello poco sviluppato, la loro mente è aperta e flessibile. Più neuroni rispetto agli adulti, per questo le loro facoltà sono infinite. Più intelligenti di quanto crediamo. I bambini piccoli sono così, tutt’altro che inconsapevoli. Fanno operazioni logiche, sono creativi, capiscono il mondo. Gli danno un senso, molti sensi, non escludono niente. La vita la conoscono tutta, perché per loro è tutta nuova e travolgente. I bambini, in qualche modo, sono filosofici. Bella definizione, l’ha usata una psicologa cognitiva americana, Alison Gopnik, che insegna all’Università di Berkeley in California, per il suo libro “The philosophical baby” appunto. La tesi è: i bimbi sono molti più coscienti di quanto riusciamo noi a vedere, immersi come sono nella palpitante attività dell’esistenza, quella che tedia o stressa noi. Quella vita lì, da zero a quattro anni grosso modo, non è un magma indistinto di bisogni e necessità e poi nient’altro.
Da piccoli siamo tutto, piuttosto, forse proprio grazie a un po’ di cervello in meno. Nuove tecniche d’indagine hanno scoperto che i bambini piccoli hanno più cellule cerebrali, o neuroni, degli adulti così come le varie parti della loro corteccia cerebrale sono collegate meglio rispetto a quelle della nostra. Significa che nella primissima infanzia si assimilano facilmente una grande quantità di informazioni, che da grandi invece “sfoltiamo” ritenendole inutili. Possediamo un cervello più efficiente, ma meno capace di apprendere del loro, più “irrigidito” nel già noto. Il loro è più aperto e flessibile: hanno molti meno neurotrasmettitori inibitori, le sostanze chimiche che impediscono ai neuroni di attivarsi. Disinibiti, vanno verso ogni cosa e non usano filtri. Smontano e rimontano il reale. Gopnik cita l’esempio delle macchine. “Sono in grado di valutare le probabilità condizionate, cioè il rapporto tra alcuni blocchi e l’accensione o lo spegnimento della macchina. Ma quando si presenta a un bambino questa complessa serie di relazioni e gli si chiede di mettere in moto o di fermare la macchina, lui fa la cosa giusta. Anche se coscientemente non sa come funzionano le probabilità condizionate, inconsciamente tiene conto delle informazioni“. La psicologa americana ama la seguente metafora: “Se negli adulti l’attenzione funziona come un riflettore, un raggio direzionale che illumina un particolare aspetto della realtà, nei bambini piccoli somiglia più a una lanterna, che getta una luce diffusa su tutto quello che li circonda”. Una passeggiata con un bambino di due anni: vede cose che noi manco notiamo. Ogni momento è una Disneyland, per loro. Noi ci concentriamo, loro si distraggono. Noi magari un obiettivo lo raggiungiamo, loro no, ma si arricchiscono di più: sperduti nella totalità, per questo ipercoscienti. L’attenzione non focalizzata e non utilitaristica favorisce nei bambini una migliore capacità di memoria. Grazie alla corteccia prefrontale, la regione responsabile di varie capacità cognitive, che in loro non è ancora totalmente sviluppata, hanno una “immaturità” vantaggiosa. Magari le scarpe non riescono ad allacciarle, ma le lingue le imparano in fretta, capiscono le relazioni di causa-effetto e persino la morale: giusto e sbagliato, etico e convenzionale. La nostra maturità porta banalità, e oblìo. Riformuliamoci con un più illuminato cogito ergo sum, baby.
di ALESSANDRA RETICO