Le dita sono importanti per contare, ma anche per la costruzione del significato di numero. Questo è il sunto dell’articolo “La matematica passa dalle dita”di Anna Baccaglini-Frank. Alcuni risultati ottenuti nel campo delle neuroscienze hanno messo in luce un legame neuro-funzionale tra l’uso delle dita e lo sviluppo del senso del numero. Secondo lo studioso Butterworth, questo legame si fonda sull’idea che si costruiscono rappresentazioni numeriche concrete e astratte usando le dita, le parole e i numerali (i simboli).
Le dita sono usate in tutte le culture per rappresentare numerosità: ecco perché, secondo Butterworth, la capacità di rappresentare mentalmente le dita (gnosia digitale) è intrinsecamente legata alla rappresentazione di numerosità. Inoltre, poiché sono sempre a portata “di mano”, i bambini si trovano spesso a usare le dita non solo per rappresentare numerosità, ma anche per contare e fare aritmetica. Le dita, dunque, fungono da ponte nel legare rappresentazioni concrete a rappresentazioni astratte delle nozioni di “quantità” e delle “operazioni” (almeno di addizione e sottrazione).
Le teorie di Butterworth si fondano sugli studi riguradanti le tecniche di conteggio delle dita che variano ampiamente tra le culture.
Ogni cultura ha un diverso modo di contare sulle dita. Ad esempio: gli europei iniziano spesso con i pugni chiusi e cominciano a contare sul pollice della mano sinistra. Anche i popoli del Medio Oriente iniziare con il pugno chiuso, ma cominciano a contare con il mignolo della mano destra.
Anche la maggior parte dei cinesi e molti nordamericani utilizzano il sistema di chiusura del pugno, ma iniziano contando su un dito indice piuttosto che il pollice. I giapponesi di solito partono da una posizione aperta della mano e contano chiudendo prima il mignolo e poi le dita rimanenti. In India si fa uso dei segmenti delle dita per ottenere ben 20 conteggi da ogni mano. Si sa anche, però, che il popolo Pirah dell’Amazzionia non usa le dita per contare.
Contare con le dita è naturale come respirare – ma non è una cosa innata o anche, a quanto pare, universale. In realtà ci sono molte tecniche diverse ed esse sono trasmesse culturalmente.
I ricercatori tedeschi Andrea Bender e Sieghard Beller sostengono che il grado di diversità culturale nel contare sulle dita è stato enormemente sottovalutato. Dicono anche che, studiando le tecniche di conteggio delle dita, possiamo meglio comprendere come la cultura influenza i processi cognitivi, in particolare il calcolo mentale.
La Risonanza Magnetica Funzionale per Immagini mostra che le regioni del cervello associate con l’uso delle dita si attivano quando eseguiamo dei compiti numerici, anche se non usiamo le nostre dita per aiutarci a completare questi compiti. Gli studi dimostrano che i bambini piccoli con buona consapevolezza delle dita svolgono meglio i compiti quantitativi rispetto a quelli che non sanno usare bene le dita.
Questo può essere perché il conteggio delle dita ha una proprietà unica che la distingue dai sistemi di conteggi scritti o verbali: si tratta di una esperienza senso-motorio, con un collegamento diretto tra il movimento corporeo e l’attività cerebrale.
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