Venire a contatto con una persona con la Sindrome di Asperger porta a ripensare a quanti “preconcetti” abbiamo noi neurotipici. Infatti, come è scritto su L’ Ottimista:
“Data la loro peculiare modalità cognitiva caratterizzata da particolari deficit (teoria della mente, funzioni esecutive e coerenza centrale debole), le persone con la Sindrome di Asperger hanno un basso quoziente di empatia e tendono a soffermarsi, anche in situazioni sociali, su dettagli percettivi per noi insignificanti ma che, per caratteristiche intrinseche al loro sistema nervoso, appaiono invece assai gratificanti sensorialmente o interessanti cognitivamente. Tutto ciò è fonte di grande incomprensione da ambo le parti, ma soprattutto di forte frustrazione che si manifesta in ansia, rabbia e depressione. Questi vissuti spesso confinano gli individui con Sindrome di Asperger e i loro familiari in una solitudine assai dolorosa.
Sarebbe infatti necessario necessario ripensare al nostro modo di intendere le relazioni sociali ed affettive che generalmente sono incentrate sulla condivisione di emozioni, pensieri e progetti futuri, ma che potrebbero anche basarsi sulla condivisione di un interesse meramente cognitivo.
Sindrome di Asperger è un’etichetta diagnostica che il DSM-IV ha introdotto per definire tutte quelle persone dotate di linguaggio formalmente corretto che, in assenza di ritardo cognitivo, presentano alcune caratteristiche dell’autismo. Le persone che si situano in questo punto del continuum autistico, presentano un insieme di peculiarità comportamentali che riguardano principalmente l’area sociale, sensoriale percettiva, attentiva e affettivo-motivazionale. Di fatto nella prassi clinica si raggruppano, sotto questa definizione, un’ampia gamma di condizioni e di stili di funzionamento cognitivo, affettivo e sociale. Quindi non esistono due persone Asperger uguali e le loro abilità possono spaziare dall’eccellenza in alcuni settori, come le arti grafiche, la musica o le scienze, con risultati a volte straordinari, a situazioni più deficitarie dove possono essere presenti difficoltà nella gestione autonoma di semplici attività di vita quotidiana. Si tratta di una condizione di variazione neurobiologica, che si manifesta in un determinato fenotipo comportamentale, con conseguenze in ambito sociale, affettivo e lavorativo. Per riferirsi a questa condizione si usa anche il termine di neurodiversità.
Un approccio valido per entrare in relazione con queste persone è quello espresso nel saggio di Tony Attwood e Carol Gray La scoperta dei criteri aspie, dove gli autori propongono una sostituzione del concetto di diagnosi, legato a deficit, sintomi, punti deboli, ecc., con il termine della “scoperta” delle persone, dove l’enfasi è sui punti di forza e sui talenti, rovesciando completamente la prospettiva.
In tal modo scrivono gli autori: «La scoperta degli aspie mette a fuoco opportunità preziose che ripetutamente non vengono colte, non attribuendo il giusto valore al loro potenziale. C’è la possibilità di fare nuove amicizie, un’opportunità di riconsiderare chi sembrava un po’ bizzarro, ma decisamente più onesto e genuino. Oltre a scoprire nuove amicizie, c’è la possibilità di avvalersi di prospettive e talenti unici per affrontare i problemi. C’è del lavoro da fare durante il prossimo secolo: malattie da curare, un ambiente da salvare, libertà da difendere. Fortunatamente ci sono persone dotate di una mente capace di affrontare la sfida e con l’abilità di focalizzarsi e perseverare; posseggono talenti e prospettive uniche a sufficienza per risolvere i problemi più grandi o migliorare i progetti più impegnativi. Questi sono gli aspie. Sono la prova vivente che i migliori luoghi da frequentare sono sempre quelli che devono ancora essere scoperti» .
Molto toccanti le parole di una donna con la Sindrome di Asperger, Luisa Di Biagio, che racconta:
Ho imparato a rispettare e ad amare anche il sentire che non sento, quello degli altri, anche se so che il mio non è riconosciuto perché non è “sentito”. Ma un cambiamento importante c’è stato ed è ancora in atto. Le persone si interrogano. Sbagliano forse ma qualcuno comincia a mettersi in discussione. Qualcuno, per fortuna, si è chiesto se piuttosto che una “fortezza vuota” l’autismo fosse più una “fortezza stracolma priva di ponte levatoio”. È bello che ci siano genitori che chiedono, professionisti che studiano e investono, istituzioni che si pongono le domande giuste e a volte persino le domande sbagliate, però lo fanno. Tutto questo impegno è indispensabile per poter attuare quel cambiamento sociale necessario all’arricchimento reciproco di tutti i membri della società.
Io ho avuto la fortuna immensa di essere agganciata ad un interesse che è diventato il mio lavoro, mi ha permesso di inserirmi e mi ha persino fornito gli strumenti e le occasioni per comprendere alcuni dei basilari meccanismi sociali umani. Sono sempre stata interessata ai cani, al loro mondo, che percepivo simile, interessante e affascinante, e questo osservare, questo leggere, questo studiare, questo essere stimolata a comunicare con loro mi ha spinta inconsapevolmente a comprendere meglio anche alcune dinamiche umane. Non tutte le persone come me hanno la stessa opportunità. Il mio sogno è che, anche per loro, un domani, possa esserci un ruolo nel mondo a prescindere dall’effettiva “utilità” della loro competenza. Lo scopo di tutti coloro che sono coinvolti, per vari motivi nell’attuazione di questo storico cambiamento è quello di comunicare al mondo che le persone sono altro dall’apparenza, che ogni persona ha il diritto di rimanere se stessa pur acquisendo gli strumenti di base che ne favoriscano l’inserimento sociale ed una dignitosa qualità della vita , e soprattutto che “educare” non vuol dire snaturare e piegare.
L’aspetto meraviglioso di questa necessità di presa di coscienza del valore di ogni persona per quello che è, credo sia espressa in modo brillante da N., un ragazzino Asperger di 11 anni in questo interessantissimo scambio con la sua mamma che si preoccupava di assicurarsi il suo benessere: “Non pensare ad alta voce, sennò ti prendono per un tipo strano…”. “Ma io lo sono, mamma!”.
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